Il cotrasportatore sodio-glucosio SGLT2 è espresso nei reni e può risultare iperattivo nei soggetti con diabete. Nella glicosuria indotta da SGLT2, i pazienti con diabete obesi o sovrappeso mostrano una clearance della creatinina e un’escrezione frazionaria di glucosio più elevate.1 Inoltre, l’apporto di carboidrati in entrambi i sessi, così come l’ossidazione lipidica a digiuno e dopo i pasti, sono influenzati dall’indice di massa corporea (BMI).2,3 L’implementazione degli inibitori del SGLT2 ha aumentato la produzione endogena di glucosio, ridotto l’utilizzo periferico del glucosio e stimolato la lipolisi e la chetogenesi.3
La glicosuria indotta da SGLT2 porta a uno shift dal metabolismo ossidativo dei carboidrati a quello dei lipidi. Il conseguente deficit di carboidrati è più evidente nei soggetti magri che in quelli obesi. Il minor rapporto insulina/glucagone e il maggior rilascio di acidi grassi liberi stimolano la chetogenesi epatica, giustificando il possibile incremento del rischio di chetoacidosi in presenza di deficit insulinico o di carboidrati.
Gli studi DEPICT sono stati due trial clinici con disegni pressoché identici e diversa distribuzione geografica. Tali studi erano stati disegnati per verificare l’efficacia e la sicurezza del dapagliflozin in aggiunta all’insulina nel diabete tipo 1 (T1D). I pazienti, che per essere eleggibili per lo studio dovevano avere un’HbA1c compresa tra 7,7 e 11,0%, sono stati randomizzati secondo un rapporto 1:1:1 al trattamento con dapagliflozin 5 mg + insulina, 10 mg + insulina, o placebo + insulina. Il trattamento, successivo a un periodo di screening ≤28 giorni e a un periodo di avvicinamento di 8 settimane, è durato 52 settimane.
In entrambi gli studi i due dosaggi di dapagliflozin hanno efficacemente ridotto l’HbA1c alla 24a e alla 52a settimana, rispetto al placebo. Nello studio DEPICT-2 il dosaggio dell’insulina è stato ridotto in entrambi i gruppi del dapagliflozin, rispetto al placebo, con un effetto che si è mantenuto per 24 settimane. Le riduzioni delle dosi di insulina sono state persino maggiori nello studio DEPICT-1 per i gruppi con 5 e 10 mg di dapagliflozin, con una riduzione del 7,7% nel gruppo del dapagliflozin 5 mg e una riduzione del 12,2% in quello del dapagliflozin 10 mg, rispetto all’1,2% ottenuto con placebo.
Entrambi i trial, DEPICT-1 e DEPICT-2, hanno mostrato una riduzione statisticamente significativa del peso corporeo in entrambi i gruppi del dapagliflozin alla settimana 24 (DEPICT-1 e 2) e alla settimana 52 (DEPICT-1), rispetto al placebo. La percentuale di pazienti con una diminuzione dell’HbA1c ≥0,5% in assenza di episodi di ipoglicemia severa è risultata maggiore, alla 24a settimana dello studio DEPICT-2, nei gruppi con 5 e 10 mg di dapagliflozin rispetto al placebo (rispettivamente del 39,5, 41,6 e 20,1%). Riduzioni ancora maggiori di HbA1c senza ipoglicemie severe sono state osservate nello studio DEPICT-1, sia a 24 sia a 52 settimane (a 24 settimane rispettivamente del 50, 51 e 25% per 5 mg, 10 mg e placebo; a 52 settimane rispettivamente del 40,2, 42,1 e 23,7% per 5 mg, 10 mg e placebo). Gli endpoint del monitoraggio in continuo della glicemia (continuous glucose monitoring, CGM) alla 24a settimana hanno mostrato miglioramenti dei livelli medi di glucosio interstiziale nelle 24 ore per entrambi i gruppi di dapagliflozin, rispetto al placebo, in entrambi gli studi DEPICT.
Gli eventi avversi più frequenti erano correlati a infezioni genitali e delle vie urinarie, e si sono verificati più frequentemente nei due gruppi trattati con dapagliflozin rispetto al placebo. Anche la chetoacidosi diabetica (diabetic ketoacidosis, DKA) è risultata più comune nei soggetti dei gruppi trattati con dapagliflozin rispetto al placebo, per entrambi gli studi DEPICT.
Gli studi DEPICT dimostrano che il trattamento con dapagliflozin nel T1D è stato ben tollerato per 52 settimane, con miglioramento del compenso glicemico e del peso, riduzione del fabbisogno insulinico e della variabilità glicemica, senza aumento delle ipoglicemie, ma a scapito di un numero maggiore di eventi di DKA.
Lo studio EASE-1, di fase 2, è stato un piccolo trial clinico randomizzato in doppio cieco controllato con placebo della durata di 4 settimane, condotto in due centri europei.4 Il suo scopo era analizzare farmacodinamica, efficacia e sicurezza dell’empagliflozin in aggiunta all’insulina in soggetti con T1D.4 Sono stati complessivamente utilizzati 3 dosaggi giornalieri di empagliflozin: 2,5 mg, 10 mg e 25 mg. Nello studio a 28 giorni, l’empagliflozin, utilizzato in aggiunta all’insulina, è risultato efficace nell’aumentare la glicosuria, migliorare l’HbA1c e ridurre il peso corporeo con dosaggi inferiori di insulina rispetto al placebo.4
Lo studio EASE-2, della durata di 52 settimane, ha confrontato 10 e 25 mg di empagliflozin rispetto al placebo, mentre lo studio EASE-3, di 26 settimane, ha confrontato tre dosaggi di empagliflozin (2,5 mg, 10 mg e 25 mg) verso placebo. I criteri d’inclusione per l’arruolamento negli studi prevedevano la presenza di T1D da almeno 12 mesi (C-peptide <0,7 ng/ml) e la terapia insulinica multiniettiva (multiple dose injections, MDI) (≥12 mesi) o l’utilizzo di microinfusore (continuous subcutaneous insulin infusion, CSII) (≥5 mesi) prima dello screening. Il range di HbA1c era compreso tra ≥7,5% e ≤10,0%. L’endpoint primario era la variazione dell’HbA1c rispetto al basale, con tassi di ipoglicemia sintomatica confermata e altri parametri (variazioni del peso, della dose giornaliera totale di insulina e della pressione arteriosa) come endpoint secondari.
I tre dosaggi testati di empagliflozin hanno determinato una riduzione dell’HbA1c, calo ponderale e nessun aumento delle ipoglicemie sintomatiche o severe rispetto al placebo. I gruppi trattati con empagliflozin 10 e 25 mg hanno confermato tassi più elevati di DKA. I risultati non sono disponibili al pubblico, ma saranno presentati tra qualche mese all’EASD.
Il sotagliflozin è un doppio inibitore di SGLT1 e SGLT2. Come noto, il cotrasportatore SGLT1 è espresso a livello intestinale ed è la principale molecola di trasporto coinvolta nell’assorbimento dei monosaccaridi (prevalentemente glucosio e galattosio). Svolge inoltre un ruolo minore nel riassorbimento del glucosio a livello renale. L’inibizione del SGLT2 nel rene determina un aumento della glicosuria.5,6 L’uso di un inibitore sia di SGLT1 sia di SGLT2 ritarda il picco glicemico post-prandiale, rispetto agli inibitori del SGLT2 o a nessun trattamento.5,6
Il sotagliflozin è stato studiato in tre trial clinici in tandem, denominati inTandem 1, inTandem 2 e inTandem 3. Vedere la Tabella per i disegni dello studio e l’endpoint primario di efficacia di ciascun trial.
In un’analisi combinata degli studi inTandem 1 e 2, entrambi i gruppi di sotagliflozin (200 e 400 mg) hanno ridotto in maniera statisticamente significativa, rispetto al basale, l’HbA1c e il peso corporeo assoluto rispetto al placebo a 24 e 52 settimane.10,11 Il sotagliflozin ha mostrato un’efficacia statisticamente significativa a 52 settimane nel ridurre la dose complessiva di insulina (200 e 400 mg), la dose insulinica basale (200 e 400 mg) e la dose del bolo di insulina (solo 400 mg), durante la revisione combinata dei dati dell’inTandem 1 e 2, rispetto al placebo.10
Per un sottogruppo di dati relativi ai partecipanti agli studi inTandem 1 e 2 è stato analizzato, mediante CGM, il tempo trascorso in range glicemico per i gruppi sotagliflozin vs. placebo. A 24 settimane, il sotagliflozin 200 mg ha aumentato il tempo nel range glicemico da 12 ore e 32 minuti al basale a 13 ore e 52 minuti.12 Nel gruppo trattato con sotagliflozin 400 mg il tempo nel range glicemico è aumentato da 12 ore e 10 minuti al basale a 15 ore e 25 minuti.12 Nei gruppi in trattamento sono stati registrati più casi giudicati di DKA rispetto al placebo.10,11 I casi documentati di ipoglicemia sono risultati meno frequenti con il sotagliflozin.
Nello studio inTandem 3, il vantaggio clinico netto a 24 settimane (percentuale di soggetti con HbA1c <7,0%, nessuna ipoglicemia severa e/o nessuna DKA) è risultato statisticamente significativo per il gruppo del sotagliflozin rispetto al placebo (rispettivamente 28,6% vs. 15,2%), così come la riduzione dell’HbA1c rispetto al basale.9 Inoltre, nello studio clinico inTandem 3, un numero maggiore di soggetti ha raggiunto un’HbA1c <7% e il relativo endpoint rischio-beneficio con sotagliflozin rispetto alla sola insulina. Nei gruppi in trattamento con sotagliflozin sono stati registrati più casi giudicati di DKA, rispetto al placebo.13I casi documentati di ipoglicemia sono risultati meno frequenti con sotagliflozin anche nell’InTandem3.
Le terapie disponibili per la protezione cardiorenale nei soggetti con T1D sono limitate. Si tratta di un’esigenza insoddisfatta perché molti pazienti presentano tassi aumentati di malattie cardiovascolari, insufficienza cardiaca e DKD. A oggi non esistono evidenze a supporto dell’utilizzo delle nuove terapie antidiabetiche per il diabete tipo 2 nella protezione dal danno d’organo di questi individui.
Il diabete provoca ipertensione glomerulare che può essere ridotta con l’utilizzo di inibitori di SGLT2.14 Studi preliminari su animali hanno dimostrato l’effetto degli inibitori del SGLT2 sulla vasocostrizione dell’arteriola afferente, verosimilmente influenzata dalla natriuresi.15 Nei soggetti con T1D trattati con empagliflozin è stata osservata una riduzione del flusso ematico renale e un incremento della resistenza vascolare renale, compatibili con la vasocostrizione dell’arteriola afferente osservata negli studi condotti su animali.14 Nelle persone con diabete vi è anche il problema dell’ipossia renale. In uno studio su animali nel quale si analizzava l’ossigeno della corticale renale, gli animali con T1D presentavano concentrazioni inferiori di ossigeno rispetto ai controlli sani e agli animali trattati con florizina.16
Nei pazienti con T1D è stata dimostrata la presenza di biomarcatori di flogosi, che si riducono con l’utilizzo di inibitori del SGLT2. Nessuno studio clinico ha tuttavia valutato i marker di flogosi nel T1D.17
Studi sull’uomo o su modelli animali hanno mostrato diversi vantaggi che riguarderebbero sia il diabete tipo 1 sia quello di tipo 2; tra questi:
Present disclosures:
Ele Ferrannini: the presenter has disclosed that he has been a board member, advisory panel member, and consultant to Boehringer-Ingelheim/Eli Lilly, Sanofi. He has received research report from Boehringer-Ingelheim, Eli Lilly, and Astra Zeneca and has been on the speaker’s bureau for Astra Zeneca, Takeda, Novo Nordisk, Sanofi, Tanabe/Mitsubishi, and Boehringer Ingelheim.
Paresh Dandona: this presenter has no disclosures to report.
Juilo Rosenstock: the presenter has disclosed that he has received research support from Merck, Pfizer, Sanofi, Novo Nordisk, Bristol-Myers Squibb, Eli Lilly, GlaxoSmithKline, Astra Zeneca, Lexicon, Janssen, Intarcia, Genentech, and Boehringer Ingelheim. He has also been involved in advisory boards or received consulting honorarium from Novo Nordisk, Sanofi, Eli Lilly, Intarcia, Janssen, and Boehringer Ingelheim.
John B. Buse: the presenter has disclosed that he has received research support from Astra Zeneca, Boehringer Ingelheim, Johnson & Johnson, Lexicon, Novo Nordisk, Sanofi, Theracos, and vTv Therapeutics. He has consulted for Adocia, Astra Zeneca, Dexcom, Elcelyx Therapeutics, Eli Lilly, Intarcia Therapeutics, Lexicon, Metavention, NovaTarg, Novo Nordisk, Sanofi, Senseonics, and vTv Therapeutics. The presenter also has stock options for Mellitus Health and PhaseBio Pharmaceuticals.
David Cherney: the presenter has disclosed that he has received consulting and honoraria from Boehringer Ingelheim, Lilly, Janssen, Merck, AstraZeneca, Mitsubishi-Tanabe, and Sanofi. He was also involved in the following trials; CREDENCE, TRANSLATE, BETWEEN, DIAMOND, DAPA-CKD, SCORED, EMPA-CKD, INDORSE, ERADICATE-HF.
Written by: Debbie Anderson, PhD
Reviewed by: Marco Gallo, MD