Uno degli obiettivi dello studio TEDDY (The Environmental Determinants of Diabetes in the Young) era identificare i fattori ambientali e le interazioni geni-ambiente alla base dell’autoimmunità insulare e del diabete tipo 1 (T1D). Lo studio ha indagato le differenze nei determinanti ambientali del T1D tra diverse popolazioni e gruppi etnici, e in bambini con o senza parenti di primo grado affetti da diabete.
Esistono due endotipi correlati al diabete, definiti dalla positivizzazione iniziale degli autoanticorpi anti-insulina (insulin autoantibodies, IAA) o degli anticorpi anti-acido glutammico decarbossilasi (glutamic acid decarboxylase antibodies, GADA). Nei primi anni di vita si osserva un picco di sieroconversione degli IAA, che pare ridursi nel tempo. I dati relativi a bambini in età più avanzata sono tuttavia limitati, perché sono ancora pochi i soggetti indagati dallo studio in questa fascia di età (13 anni). I risultati hanno anche dimostrato che la positivizzazione di autoanticorpi specifici è differente, con i GADA che compaiono per primi e gli altri che si sviluppano successivamente, specialmente dopo gli 8 anni. Il passaggio dalla positività di un singolo anticorpo a quella di anticorpi multipli spesso avviene nell’arco di 12 mesi; da quel momento, molti individui continuano a sviluppare anticorpi che possono portare all'insorgenza del T1D.
Nell’analisi dei fattori di rischio genetici e ambientali emerge una certa variabilità nello sviluppo del T1D, in quanto non tutti i soggetti con mutazioni genetiche sono destinati a sviluppare la patologia. Di conseguenza, la capacità di prevedere chi svilupperà T1D associata alla positività degli IAA o dei GADA è quantomeno modesta. Tale capacità predittiva potrà tuttavia migliorare grazie alla sempre maggiore disponibilità di dati relativi alla metabolomica, alla genomica, alla proteomica e al microbioma.
L’ambiente fetale può svolgere un ruolo nella comparsa dell’autoimmunità insulare (islet autoimmunity, IA), che solitamente precede l’insorgenza clinica del T1D. Neonati e bambini esposti alla vitamina D e agli acidi grassi omega-3 hanno mostrato risultati contraddittori in merito a una potenziale associazione inversa con il rischio di IA, che potrebbe derivare dal ruolo di queste sostanze nella regolazione immunitaria e nella flogosi. Studi condotti in Norvegia hanno mostrato una riduzione del rischio di T1D con l’assunzione di integratori di vitamina D, mentre altri studi condotti negli USA non hanno rilevato alcuna associazione.1
Lo studio TEDDY ha voluto specificamente esaminare l’associazione tra assunzione materna di integratori di vitamina D e di acidi grassi omega-3 durante la gravidanza, analizzando lo sviluppo di IA persistente nei neonati. I ricercatori non hanno riscontrato alcuna associazione tra assunzione di acidi grassi omega-3 o vitamina D e la positivizzazione persistente degli anticorpi anti tirosina fosfatasi (IA-2A, degli IAA o dei GADA come primi autoanticorpi.
Questi risultati, ottenuti da una vasta coorte (più di 8000 bambini a rischio in Svezia, Finlandia, Germania e USA), hanno evidenziato che l’assunzione materna di integratori di vitamina D e acidi grassi omega-3 non risulta associata al rischio complessivo di IA, né a quello di IAA e GADA come primi autoanticorpi a positivizzarsi nella prole.2
Altro obiettivo dello studio TEDDY era esaminare se le infezioni gestazionali risultassero associate al rischio di positivizzazione iniziale degli IAA o dei GADA, come indice di IA. I ricercatori hanno ipotizzato una possibile interazione tra infezioni gestazionali e geni HLA o non-HLA del bambino. Se questi fossero associati ai primi autoanticorpi insulari a positivizzarsi correlati all'età, avallerebbero il ruolo dell'ambiente intrauterino e delle esposizioni prenatali sul rischio di autoimmunità antinsulare e di T1D.
Le infezioni sono state suddivise tra quelle del tratto respiratorio superiore, del tratto respiratorio inferiore, gastroenteriti o diarrea, e altre patologie correlate a infezioni (quali infezioni renali, della vescica o del tratto urinario). Le infezioni delle vie respiratorie superiori hanno rappresentato circa il 50% di tutte le infezioni nei quattro paesi. I risultati hanno dimostrato che le infezioni gestazionali non risultano associate alla positivizzazione iniziale dei soli IAA o dei soli GADA, come indice di IA.
Le infezioni gestazionali in generale non sono risultate associate alla positivizzazione iniziale degli autoanticorpi insulari. Sono state tuttavia osservate interazioni complesse sui primi autoanticorpi a positivizzarsi tra infezioni respiratorie gestazionali, entrambi i genotipi HLA-DR-DQ e rs231774 del CTLA-4. Le infezioni respiratorie gestazionali sono risultate stabilmente associate a un minor rischio di positivizzazione iniziale degli IAA, in ciascun paese, tra i bambini con HLA-DR4/8, mentre si è registrato un aumento del rischio di positivizzazione iniziale degli IAA nei casi per i quali non era stata riportata alcuna infezione respiratoria nelle madri. Indipendentemente dall'HLA, se una madre aveva riferito un'infezione respiratoria, i bambini con polimorfismo dell'allele CTLA-4 (AG, GG) avevano minori probabilità di sviluppare una prima positivizzazione degli IAA, e maggiori probabilità di una positivizzazione iniziale dei GADA.
Questi risultati suggeriscono che gli eventi gestazionali (quali le infezioni respiratorie) interagiscono con CTLA-4, nota proteina regolatrice delle cellule T, nell’influenzare il modo in cui DR4-DQ8 o DR3-DQ2 reagiscono a un ipotetico trigger durante i primi anni di vita. In futuro occorrerà indagare l'influenza delle infezioni gestazionali sulla progressione della malattia e stabilire se il rischio di diabete infantile di tipo 1 possa ridursi, o la patologia svilupparsi più tardivamente, per effetto degli eventi respiratori in gravidanza.3,4
In questa parte dello studio TEDDY, l'obiettivo era esaminare se gli episodi infettivi gastrointestinali (GIE, gastrointestinal infectious episode) nei primi 48 mesi di vita fossero predittivi dell’insorgenza di autoanticorpi insulari, in particolare degli IAA vs. GADA.
In base ai risultati di questo studio, nel complesso i GIE non sono risultati predittivi dell’insorgenza di IA, ma su un periodo di 12 mesi sono risultati positivamente associati alla sieroconversione dei GADA. Suddividendo il periodo di 12 mesi in trimestri, un’associazione dei GIE alla sieroconversione di GADA è stata osservata nel primo e nel secondo trimestre. Inoltre, la sieroconversione è risultata inversamente associata a quella degli IAA. I risultati sono stati gli stessi nelle diverse fasce d’età e nei quattro paesi, suggerendo che le infezioni da virus gastrointestinali sembrano modulare il rischio di autoimmunità antinsulare nei bambini geneticamente predisposti.
I GIE sono risultati predittivi della positivizzazione dei GADA solamente quando registrati con il codice ICD10 della gastroenterite infettiva, mentre non è stata rilevata alcuna associazione quando sono stati riferiti solamente sintomi di gastroenterite. Confrontandoli con i bambini che avevano sviluppato infezioni respiratorie, quelli che avevano avuto più patologie respiratorie entro i 6 mesi di vita presentavano una correlazione maggiore con la sieroconversione iniziale dei soli GADA. Mentre sono stati notati GIE prima della sieroconversione dei GADA, tali episodi infettivi non erano predittivi della progressione verso la positivizzazione di multipli autoanticorpi o verso il T1D.
In una rassegna trasversale è stato analizzato il possibile effetto di un’anamnesi familiare positiva per diabete (tipo 1, tipo 2 e diabete gestazionale) e per patologie autoimmuni nei parenti di primo e secondo grado sullo sviluppo dell'autoimmunità insulare, la progressione verso il T1D e determinate caratteristiche cliniche al momento della diagnosi.
La presenza di un parente di primo grado con T1D era significativamente predittiva dell’insorgenza di autoimmunità, in particolare se il T1D interessava il padre o un fratello (p <0,001 per entrambi), ma non la madre (p = 0,108). La presenza di un parente di secondo grado con T1D era anch’essa significativamente predittiva di IA. Una scoperta interessante e inattesa è stata che un parente di secondo grado con diabete di tipo 2 risultava significativamente protettivo nei confronti della progressione verso il T1D, nei bambini dello studio TEDDY.
Present disclosure: All of the presenters reported that they had no disclosures related to the TEDDY study.
Written by: Debbie Anderson, PhD
Reviewed by: Marco Gallo, MD